Quargnento - CARLO CARRA' (Quargnento, AL 1881 - Milano, 1966)
Biography: Nato a Quargnento l’11 febbraio 1881, da una famiglia «che si fa risalire ai tempi delle emigrazioni celtiche» in Italia, oppure proveniente dalla Provenza e comunque piemontese da molti secoli, come egli stesso racconta nella sua autobiografia La mia vita (1943), fonte primaria per la conoscenza di un pittore dalle numerose esperienze. Un tempo benestante terriero, poi decaduto, il padre era stato costretto ad aprire una calzoleria senza raggiungere un certo benessere. Già nella sua prima fanciullezza si manifesta in Carrà la vocazione della pittura: durante un periodo di grave malattia trascorso a letto, «per distrarmi cominciai a disegnare» e da lì nacque quella passione per l'arte che lo accompagnerà per tutta la vita. Passione che, all'inizio, lo portava in qualsiasi luogo a vedere monumenti d'arte che poi riproduceva; oppure a «scarabocchiare» pareti, muri, con ogni tipo di materiale, così da costringere il padre a intonacare apposta per lui le pareti del solaio, purché risparmiasse il resto dell'abitazione. Ma la vita attende il piccolo Carlo con le sue prove: a nove anni, penultimo di sette fratelli, perde la madre, e a dodici lascia la famiglia per procurarsi un lavoro, quello che può considerarsi il tirocinio della sua attività futura. Infatti fu collocato presso alcuni decoratori che lavoravano in una villa a Valenza e poi nel 1895 a Milano presso la ditta di Angelo Comolli. Nel frattempo frequentava le scuole serali di disegno, prima a Valenza poi di Brera a Milano, trascorrendo le domeniche alla pinacoteca di Brera, al museo Poldi Pezzoli, alla galleria d'Arte Moderna del Castello Sforzesco e visitando le esposizioni allestite alla Permanente. Segantini e Previati, ma soprattutto il primo, furono gli artisti che lo impressionarono maggiormente. Nel 1899 raggiunge Parigi attratto dalla possibilità di lavorare alla decorazione dell’Exposition Universelle che si stava preparando. Visita il Louvre, il Petit Palais, ma ciò che lo attrae e lo emoziona di più sono gli Impressionisti, scoperti al Musèe du Luxembourg, insieme a Constable e Turner, visti alla National Gallery di Londra. Carrà vive intensamente il fermento culturale della Parigi dell’epoca, ma anche i conflitti sociali e politici e la necessità di lavorare per sopravvivere. Nel 1900 si trasferisce a Londra in cerca di lavoro. Qui comincia anche ad accostarsi al gruppo anarchico e socialista italiano e a conoscere i testi del pensiero politico rivoluzionario: da Bakunin a Marx. Sono di questo periodo le sue prime conoscenze letterarie: Baudelaire, De Musset, Rostand, Racine; ma soprattutto pittoriche. Infatti al Louvre lo entusiasmarono Delacroix, Gèricault, Manet; al Petit-Palais i dipinti di Bourbet; al Luxembourg fu trascinato dal suo «entusiasmo giovanile», provando intensa emozione davanti ai quadri di Renoir, Cézanne, Pissarro, Sisley, Monet, Gauguin. Nell'estate di quello stesso anno conobbe a Londra le pitture di Constable e Turner che lo attrassero, mentre non capì la fama di cui erano circondati i preraffaelliti, privi, secondo lui, di sensibilità pittorica, di naturalezza e di spontaneità. Gli incontri con il gruppo anarchico e socialista e le letture impegnate, quali Platone, Tommaso Moro, Campanella, i socialisti utopisti e Bakunin lo arricchirono di nuove e varie esperienze. Fra il 1902 e 1906 Carrà, ritornato a Milano, riprese la sua attività di decoratore a Bellinzona, a Busto Arsizio, a Ombriano presso Crema nella villa dei conti Sanseverino. Nel frattempo si dedica a letture di argomento filosofico-sociale ritrovando poi gli stessi problemi nei grandi narratori russi dell'Ottocento. Quando, durante lo sciopero generale del 1904, fu ucciso l'anarchico Galli e durante il suo funerale nacque una mischia di inaudita violenza, Carrà, trovatosi lì per caso, ne fu fortemente impressionato, e tornato a casa schizzò il disegno da cui prese spunto più tardi per il quadro I funerali dell'anarchico, (1) esposto nelle mostre futuriste del 1912.
(1) I funerali dell'anarchico
(2) disegno
Nel 1906, grazie a due premi artistici e a un piccolo sussidio di uno zio paterno, si iscrisse finalmente all'Accademia di Brera, divenendo allievo di Cesare Tallone e seguendovi i corsi fino al 1909. Ne rimase deluso non trovandovi né «il contatto complesso che ogni istituto deve avere con la cultura viva del proprio tempo», né un vero insegnamento, se non parziale e inadeguato; preferiva quindi starsene a casa a leggere i grandi poeti, fra i quali Poe e Leopardi. Seguirono anni di incertezze, di lavori vari e di incontri, fra i quali è da ricordare quello con Filippo Corridoni, con il quale strinse una cordiale amicizia. Esperienza futurista di Carrà A conclusione di questo periodo e alle soglie della prima autentica esperienza artistica, è interessante annotare dalla sua autobiografia il giudizio che Carrà dà dell'arte negli anni della sua prima giovinezza: «Ovunque cattivo gusto e ignoranza pretenziosa mescolata a una sorta di mania per una pittura di intingoli e di mostarde», contrarie alla buona tradizione pittorica italiana. Ecco le premesse da cui Carrà e altri giovani desiderosi come lui di far rinascere l'arte a Milano, partirono, incontrandosi e discutendo tutte le sere al Caffè del Centro. Finché nel febbraio del 1910 Carrà, Boccioni, Russolo s'incontrarono con Marinetti e decisero «di lanciare un Manifesto ai giovani artisti italiani per invitarli a scuotersi dal letargo che soffocava ogni più legittima aspirazione», che produsse poi «l'effetto di una violenta scarica elettrica». È noto che Marinetti sul quotidiano di Parigi Le Figaro del 20 febbraio 1909 aveva lanciato il primo manifesto futurista all'insegna de «il coraggio, l'audacia e la rivolta»; esaltando la «velocità», la guerra e il patriottismo; adottando una strategia d'attacco e provocazione in cui particolare importanza assumeva proprio il manifesto. La collaborazione di Carrà al movimento durò sei anni, dal 1910 al 1915: anni intensi di esperienze, di lavoro e di battaglia, in cui l'arte moderna in Italia diventò un problema nazionale e non più solo arroccata in posizione antiaccademica. L'unico rimprovero Carrà lo rivolgerà semmai a Marinetti, per aver abusato del metodo reclamistico proprio non dell'arte ma dell'attività commerciale; necessario d'altra parte per smuovere le acque ormai stagnanti in cui era obbligato il fenomeno artistico. I concetti ispiratori della pittura futurista possono essere appresi soprattutto attraverso il Manifesto dei pittori futuristi
“BOCCIONI,
CARRA', RUSSOLO, BALLA, SEVERINI
MANIFESTO DEI PITTORI
FUTURISTI
Agli
artisti giovani d'Italia! e La pittura futurista: Manifesto tecnico;
“BOCCIONI,
CARRA', RUSSOLO, BALLA, SEVERINI
Manifesto
tecnico
Nel
primo manifesto da noi lanciato l'8 marzo 1910 dalla ribalta del
Politeama Chiarella di Torino, esprimemmo le nostre profonde nausee, i
nostri fieri disprezzi, le nostre allegre ribellioni contro la
volgarità, contro il mediocrismo, contro il culto fanatico e
snobistico dell'antico, che soffocano l'Arte nel nostro Paese.
NOI
PROCLAMIAMO:
NOI
COMBATTIAMO:
Voi
ci credete pazzi. Noi siamo invece i Primitivi di una nuova
sensibilità completamente trasformata.
come pure dall'articolo pubblicato su Lacerba del 15 marzo 1913, con cui Carrà iniziò la sua collaborazione alla nuova rivista, nata dalla fusione della Voce con i futuristi; infine dal libro Guerrapittura del 1915.
Il pittore partiva «dal concetto dinamico assunto quale elemento fondamentale» e nel quadro non si limitava a dare il senso esteriore del movimento, ma attraverso il colore, prima e ultima emozione, eliminava la legge fissa di gravità dei corpi, che rispondono «al centro di gravità speciale della costruzione del quadro». Quindi nella sinfonia dei suoi ritmi il dipinto doveva diventare forza trascinatrice più per quello che «lasciava intravedere» che per quello che vi fosse plasmato. L'arte, insomma, non era per gli «imbecilli» e gli analfabeti, ma neppure per i mediocri; fruibile quindi da pochi eletti. L'arte italiana voleva diventare moderna, uscire dai limiti del provincialismo e mettersi al passo dell'Europa che in quegli anni scopriva il cubismo in Francia, l'astrattismo in Germania. Dopo il manifesto, seguirono le famose serate futuriste, chiassose, bizzarre e talvolta violente, ma inevitabili per uscire dagli schemi ormai superati di una cultura borghese che soffocava soprattutto i giovani vogliosi di novità. Le prime mostre futuriste organizzate nel 1912 a Parigi, Londra e Berlino non solo raccolsero successo e ampi consensi anche fra gli intellettuali più noti di allora, ma riportarono nel giro internazionale della pittura nuova anche quella italiana.
Le opere più rappresentative del periodo futurista di Carrà sono:
(3) La stazione di Milano (1910-11)
I funerali dell'anarchico Galli (1910-11), Luci notturne (1910-11),
(4) Donna al balcone (1912)
(5) La Galleria di Milano (1912)
Trascendenze plastiche (1912),
(6) Manifestazione interventista (1914)
Fu infine proprio Carrà a far entrare nel gruppo futurista l'architetto Sant'Elia, compilatore nel 1914 del Manifesto futurista per l'architettura. Mentre un terzo viaggio a Parigi compiuto nel 1914 gli permise di incontrare e stringere legami di amicizia con Apollinaire, Modigliani, Picasso. Esperienza metafisica di Carrà Alla fine del 1915 Carrà lasciò il futurismo, dopo che già era maturata in lui una posizione culturale in senso moderno, evidente negli scritti Parlata su Giotto e Paolo Uccello costruttore, pubblicati sulla nuova Voce diretta da De Robertis. Lo fece con profondo dolore, non per motivi personali ma solo per «divergenze e incompatibilità di idee», spinto dal forte desiderio di «identificare la mia cultura con la storia e specialmente con la storia dell'arte italiana». Nel frattempo la guerra coinvolgeva Carrà, prima con una intensa attività interventista, durante la quale conobbe anche Cesare Battisti, e finalmente nel 1917 con la chiamata alle armi. Partì soldato, ma l'esperienza fu dolorosa e negativa: dopo una permanenza a Pieve di Cento, dovette essere ricoverato in un nevrocomio fuori Ferrara per le sue precarie condizioni di salute. Qui ebbe però la possibilità di dipingere:
(7) Solitudine,
(8) La camera incantata,
(9) Madre e figlio,
(10) La musa metafisica
parallelamente svolse un'attività letteraria di collaborazione alle riviste di quel tempo, tutti lavori ormai improntati ai concetti della metafisica. A guerra finita la pittura metafisica fu «la ricerca di un più giusto rapporto fra realtà e valori intellettuali», fra «staticità e movimento», nella convinzione che «l'immateriale cerca adeguata forma, e la forma crea la superiore armonia che ritorna all'immateriale». È una stagione breve, che accoglie poche opere:
(11) L'ovale delle apparizioni
(12) Natura morta metafisica
(13) La figlia dell'ovest
(14) Le figlie di Loth
Dal 1919 iniziò per il pittore un periodo di calmo e tenace lavoro, grazie anche al matrimonio con Ines Minoja dalla quale avrà un figlio, Massimo, e la collaborazione alla rivista d'arte Valori plastici di Roma, che proseguì fino al1921; al Popolo d'Italia di Milano; dal 1922, in maniera assidua e continuativa fino al 1938, a L'Ambrosiano di Milano, «palestra delle mie molte battaglie in favore dell'arte moderna». I viaggi e le mostre Carrà sente il bisogno di riaffrontare il contatto con la natura e trascorre l’estate del 1921 in Liguria, a Moneglia, dove dipinge Il pino sul mare e Marina a Moneglia. I successivi soggiorni in Valsesia, in Garfagnana e in Versilia influenzano decisamente la sua futura produzione, ma soprattutto i suoi valori sul paesaggio. Scrive Carrà: “ La pittura deve cogliere quel rapporto che comprende il bisogno d’immedesimazione con le cose e il bisogno di astrazione “. Il 1922 segna una data importante: quella «di non accompagnarmi più ad altri, di essere soltanto me stesso»; d'ora innanzi la pittura sarà scarna, semplificata all'essenza, preannunciata già dal Pino sul mare del 1921 (15)
(15) Pino sul mare 1921
e improntata al ritorno alla natura considerata «come suscitatrice di rapporti pittorici»: il terzo periodo della sua esperienza, quello caratterizzato dalla trascendenza plastica. «La pittura deve cogliere quel rapporto che comprende il bisogno di immedesimazione con le cose e il bisogno di astrazione» e la contemplazione del paesaggio si risolve allora nella «costruzione» di un quadro, sia montano sia marino. Ormai il pittore si sente sereno, nel pieno delle sue possibilità e dopo tante sofferenze anela al contatto con la natura e il vero. Certo, la natura non è facile da dominare, ma ormai egli si sente passato attraverso tante esperienze che è fiducioso di sé, come un viaggiatore che trova la gioia della meta ormai prossima. Cinquale, (16)
(16) Cinquale,
(17) Estate,
(18) L'autoritratto
Cavalli, e Ritorno dai campi, sono alcune delle numerose opere. Nel 1922 è invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia e vi partecipa con I Dioscuri e La casa dell’amore, suscitando forti dissensi. Fra i critici d’arte c’è già chi apprezza la sua opera: Wilhelm Worringer gli dedica un saggio nella rivista “ Wissen und Leben “ ponendo l’attenzione sulla “ semplicità “ di Carrà. Viene invitato nuovamente alla Biennale di Venezia nel 1926 e nel 1928 e, in tale sede, presenta la sua prima “personale” di 14 opere ; nel 1930 una mostra con Soffici alla Galleria Bardi di Milano e nel 1931 gli viene assegnato il secondo premio per la pittura (50.000 lire) alla I Quadriennale romana. Gli anni dal ’32 al ’38 lo vedono impegnato in una serie di viaggi, dapprima in Germania, Austria e Cecoslovacchia, dove tiene conferenze sull’arte italiana, una mostra personale all’Associazione Umelecka Beseda di Praga e alla Galleria del Milione di Milano. Stringe rapporti con vari artisti di questi paesi; in seguito si reca in Campania, in Algeria e a Malta per dipingere. Proseguono le sue mostre nel capoluogo lombardo e le frequentazioni assidue di artisti come Martini, Sironi, Tosi, Manzù, Messina e di letterati e collezionisti fra i quali Vittorini, Gatto, Jesi. Nel 1939 nella rivista “ Le Arti ” esce un lungo saggio di Giulio Carlo Argan sulla pittura di Carrà e, sul versante opposto, un duro attacco a sfondo politico mosso da Giuseppe Pensabene, che lo accusa di essere amico degli ebrei. In seguito ai bombardamenti su Milano, Carrà , si rifugia a Corenno Plinio, sul lago di Como, dove dipinge una serie di paesaggi lacustri e prepara un centinaio di disegni per illustrare un’edizione del Don Chisciotte. Nel 1945 illustra anche l’Odissea nella traduzione di Quasimodo, un Un coup de dés di Mallarmé e pubblica Il rinnovamento delle arti in Italia. Terminata la guerra e rientrato a Milano, Carrà dipinge intensamente con un linguaggio figurativo rivolto ad una sintesi più accentuata verso quel difficoltoso equilibrio fra elemento concreto e trasfigurazione, o astrazione, che per Carrà è stato sempre il problema centrale. Valida rimane sempre la sua vecchia dichiarazione: “Quasi tutti i miei dipinti nascono da un lavoro interiore oscuro e lento; in genere la trovata risolutiva non mi viene che dopo lunghe ricerche, e magari dopo anni”. Negli anni prossimi alla vecchiaia dipinge e scrive ancora parecchio dividendosi fra Forte dei Marmi, Bologna (Mostra antologica del 1948), Milano (Mostra Circolo delle Grazie) e Venezia, dove nel 1950 ha una sala alla XXV Biennale e gli viene assegnato il Gran Premio per un artista italiano. Proseguono le sue esposizioni personali alla Galleria Alibert di Roma, alla VII Quadriennale romana ed una retrospettiva alla Galleria O’Hana di Londra. Il 1962 (aprile-maggio) vede una mostra storica al Palazzo Reale promossa dal Comune e dall’Ente Manifestazioni Milanesi: vi figurano 106 quadri ad olio e 100 fra disegni ed opere grafiche. Viene pubblicato “Segreto professionale” che raccoglie alcuni suoi scritti di poetica e critica d’arte, quasi un bilancio elaborato nel corso degli anni. Furono 114 i dipinti esposti alla pinacoteca di Brera in una mostra antologica del 1942, segno di un'attività intensa, di duro lavoro, in cui tutte le forze di Carrà furono sempre rivolte all'arte, unico scopo che lo portava a superare se stesso, alla ricerca di Dio e del significato della vita. Continuò a dipingere fino a un mese prima della morte: Natura morta con calice verde e Natura morta con bottiglia e chicchera sono gli ultimi quadri. Carrà muore a Milano il 13 aprile 1966. Sulla sua tomba al Cimitero Monumentale è posto il ritratto che nel 1942 gli aveva modellato Manzù.
Frasi tratte da "La Mia Vita" di Carlo Carrà ...In una pianura doviziosa di messi, sulla sinistra del Tanaro, sorge Quargnento con lo sfondo delle vicine colline del Monferrato... ...Chi è nato come me in un paese e vi ha trascorso l’infanzia, avrà sempre nella memoria immagini e sensazioni di campi e di bestiame, emozioni pressoché ignote a chi è nato in città. Soprattutto sono ancora vive oggi in me alcune strade che corrono in mezzo alla pianura aperta o si arrampicano sulle colline. Certe sere d’estate trascorse al chiaro di luna sull’aia, e d’inverno nelle stalle al lume delle lucerne occupato a piccoli lavori rustici, restano nitide tuttora come se fossero di ieri. Così le ore in cui pascolavo le vacche ed insieme ad altri contadinelli del paese facevo baruffa con quelli di Solero... ...Un po’ per celia, un po’ sul serio, bastava in quel tempo che qualcuno mi dicesse : “ Bambino, in quel luogo c’è una bella chiesa o un bel monumento ” che subito mi mettevo in cammino per vedere e poi a casa riproducevo. A proposito di queste mie gite, ricordo che un giorno, tornando da Alessandria, dove ero andato per vedere il monumento di Rattazzi, a mezza strada nel ritorno mi raggiunse la carrozza di mia zia Teresa con il marito che pure tornavano a Quargnento. Non fui invitato a salire e avrei voluto arrampicarmi dietro il veicolo, come si usava fare noi ragazzi, sfidando anche le frustate del cocchiere, ma non lo feci tanto ero mortificato dal poco cordiale trattamento dei miei parenti. ...Mio padre mi sgridò acerbamente, poiché trovava ridicolissimo che un bambino facesse a piedi ventiquattro chilometri per un motivo quale era il mio... ...Le pareti della casa, tutt’attorno al cortile, i muri esterni erano istoriati dai miei sgorbi eseguiti con ogni sorta di materiale che mi potesse venire alle mani; tutto serviva allo scopo: matite, braci spente raccolte dal camino domestico, colori portati via dall’imbianchino del paese, così da costringere alla fine mio padre ad intonacare apposta per me le pareti del solaio perché io potessi sbizzarrirmi là a piacere, salvando il resto dell’abitazione... ...Insonne tutta la notte, aspettando l’alba che doveva segnare la mia partenza, mi levai ancora col buio, poiché dovevo arrivare ad Alessandria di buon mattino. Al momento del commiato svegliai il papà che mi disse : “ Guarda nel taschino del panciotto, ci sono degli spiccioli, prendili; lasciami solo due soldi per il sigaro...” ...Fuori delle case mi volsi a guardare il paese, che era chiaro ormai nel biancheggiare dell’alba, e un singhiozzo mi fece groppo alla gola. Sentivo confusamente che lo lasciavo proprio per sempre...
Ritratto del padre ...Nell’inverno del 1902, durante il mio soggiorno annuale a Quargnento, desiderai fare il ritratto di mio padre per poter in tal modo portare con me a Milano un vivo e preciso ricordo di lui. Pensai anzitutto di collocarlo nel suo ambiente, e meditai di porlo a lato della finestra nel luogo dove egli abitualmente si riposava e leggeva. La giornata nella quale intrapresi il lavoro era grigia ma abbastanza serena e la sua luce aumentava l’espressione al volto di mio padre. Il ritratto, ultimato verso la fine del gennaio 1903, è oggi infatti uno dei pochi ricordi che di lui mi siano rimasti...
fondamenta nuove (francobollo emesso nel 1981 per il centenario della nascita)
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